Durante gli anni Sessanta gliartisti sentono il bisogno di avvicinarsi alla cultura dei massmedia sconfinando tra pittura e cinema. Nasce così il cinema d'artista, diverso nella forma e nei contenuti, pronto atrasgredire ogni regola nell'universo della mercificata società di massa, poiché non cerca ad ogni costo iconsensi del grande pubblico.
Mentre alcuni film-maker usano pellicole 35mm e si avvalgono di unavera troupe (è il caso di Mario Schifano e di Romano Scavolini), molti di loro, invece, adottano semiprofessionalmente la pellicola in 16mm; altri ancora si avvicinano al cinema alivello amatoriale, usando l' 8mm e il super 8. L'uso di pellicole apasso ridotto e di pellicole scadute, ha fatto si che la maggior parte dei lavori cinematografici fosse poco conosciuta per l'oggettiva difficoltà di reperimento delle copie,prematuramente danneggiate se non addirittura perse. Il cinema d'artista nasce quindi al di fuori dei normali circuiti produttivie distributivi, senza un programma comune e una cultura di riferimento alle spalle. Ciò nonostante il rimando più immediato va, oltre alle Avanguardie dei primi del Novecento, al New American Cinema. La rassegna del N.A.C., presentata da Jonas Mekas a Torino nel 1967, produsse quasi immediatamente in Italia la nascita della Cooperativa del Cinema Indipendente. Incoraggiati dai bassi costi di autoproduzione, i film-maker nostrani, consapevoli della mancanza di un mercato reale, si uniscono con lo scopo di creare nuovo canali per la distribuzione, tentando di istituzionalizzare un lavoro altrimenti disperso. Malgrado non visiano affinità linguistiche, questi giovani artisti sono accomunati dal senso di sperimentalismo che permea totalmente il loro operato cinematografico. Vi è inoltre in tutto ilcinema d'artista un aspetto militante in sintonia agli avvenimentidel '68: servirsi della macchina da presa per la registrazione immediata dei fatti e la circolazione di un'informazione "altra"rispetto a quella trasmessa dal potere politico.