di Marco Di Porto
"In Viaggio con Patrizia" al Cinema Festa internazionale di Roma
Il 20 ottobre è stato proiettato alla Festa del Cinema di Roma "In viaggio con Patrizia", il primo film che l'Associazione culturale Alberto Grifi ha recuperato, ri-editato e terminato dopo la scomparsa di Alberto. Un omaggio che segue il "Premio Speciale Festa del Cinema", assegnato ad Alberto Grifi lo scorso 11 marzo. Del cinema di Alberto abbiamo parlato con Mario Sesti, direttore della sezione Extra della manifestazione.
Qual è stato il ruolo di Alberto Grifi nel cinema italiano?
Il lavoro di Alberto Grifi non ha precedenti nella storia del cinema italiano. Esistono degli outsider con una simile genialità artigianale e creativa nel cinema americano, ma non in Italia.
Per certi versi, la sua produzione ha mantenuto dal cinema "ufficiale" una grande distanza: è stata la classica posizione d'avanguardia. Ma ciò che differenzia il suo lavoro da quello, per esempio, di uno Stan Brakhage, è che le sue sperimentazioni sulle percezioni, sulla forma, sull'inquadratura, sul suono, sulla leggibilità, partono sempre dall'esplorazione della temporalità del quotidiano. Una caratteristica che lo avvicina alla Nouvelle Vague.
Un film come Anna ricorda moltissimo la capacità della Nouvelle Vague di narrare il quotidiano anche nell'assenza di una forma classica: invece di raccontarne solo i "momenti forti", ne mostra i mondi infiniti, le pause, le incomprensioni, i vuoti, la gioia, la rabbia, i malesseri, i dolori. Da questo punto di vista, a mio avviso il cinema di Alberto Grifi è molto vicino a quello di Godard, Rivette, Truffaut…
In un intervista su "Alias" di qualche anno fa, Grifi si interrogava sulla "necessità di liquidare quei linguaggi e comportamenti che il mercato produce". Un'ottica che ha perseguito coerentemente durante tutta la sua carriera.
Nella filmografia di Grifi c'è una componente politica che è inscindibile dal suo stile. Componente politica che fa parte poi della biografia stessa di Grifi, che con la società e le istituzioni ebbe un rapporto molto conflittuale.
Io, per esempio, non riesco a liquidare in modo così netto il cinema classico americano. Diverse erano anche le posizioni della cinefilia francese: ci sono stati grandissimi registi che sono riusciti a mimetizzarsi negli schemi hollywoodiani, utilizzandoli per dare però messaggi molto diversi… anche se dal momento in cui si adottano certi assunti produttivi o linguistici, necessariamente si finisce per avvicinarsi, almeno in parte, a una certa retorica. La posizione di Grifi è invece assolutamente radicale e intransigente.
Il cinema underground italiano ha perso un maestro. Eppure molti non sanno della sua opera, dell'esistenza di un regista che ha sperimentato un altro modo di fare cinema. Perché in Italia è così difficile valorizzare il lavoro e la memoria di alcuni artisti?
Se va in una qualsiasi scuola a fare qualche domanda, si accorgerà che i giovani non sanno neanche chi sia Vittorio De Sica. Non conoscono Germi. Conoscono Fellini, perché Fellini è un "marchio" più famoso. Anche se da un'inchiesta fatta qualche anno fa, risultò che la gente pensava che "La dolce vita" fosse un maglioncino a collo alto.
Effettivamente Grifi è in ottima compagnia, quanto a rimozione. C'è un problema di memoria generale che ha molto a che fare con le tecnologie, con la quantità di informazioni che assorbiamo, con una memoria che via via si svuota, diventando più buia.
Però, forse, la diffusione di nuove tecnologie potrebbe dare un nuovo impulso alla produzione di un cinema "altro" quale lo intendeva Alberto Grifi…
La mia impressione è che chiunque voglia fare cinema con le nuove tecnologie abbia un bisogno disperato di raggiungere un pubblico. Problema che Grifi non si poneva. Il pubblico è completamente sintonizzato su altri "oggetti".
Strappare parte di questo pubblico a tali "oggetti" ha una portata rivoluzionaria, ed era esattamente quello che voleva fare Grifi col suo cinema. Questo sta avvenendo in parte con il cinema documentario, che oggi gode di grande successo e che spesso contempla un modo di lavorare su forme e linguaggi alternativo rispetto al linguaggio dominante.
Perché avete deciso, come Festa del Cinema, di dare attenzione all'opera di Grifi?
Per lo stesso motivo per cui, quest'anno, rendiamo omaggio a Freda o a Kim Arcalli (montatore "creativo" degli anni '70, n.d.r.). Riconosciamo a Grifi un'identità forte, un posto particolare nel cinema italiano. E' la stessa ragione per cui siamo riusciti ad insignirlo di un premio prima che se ne andasse. Siamo stati il primo festival a tributare a Grifi un premio alla carriera, ci sembrava normale prestargli attenzione all'indomani della sua scomparsa.