(sul teatro di Aldo Braibanti) di Alberto Grifi. 1966/67
Con: Ermanno Agatti, Aldo Braibanti, Lou Castel, Cale Cogik, Sergio Doria, Vittorio Gelmetti, Alberto Grifi, Lidija Yuravic, Anita Masini, Gianni Proiettis, Isabel Ruth, Gioacchino Saitto, Dominot Schreiber, Massimo Sarchielli, Patrizia Vicinelli. Voce fuori campo: Alessandra Vanzi.
Colore, originariamente 35mm. Durata 22 minuti.
Intorno a quegli anni mi ero dedicato allo studio e alla realizzazione di lenti, prismi e specchi che usavo come complementi ottici per gli obiettivi delle macchine da presa. Pensavo che l'infinita varietà dei desideri e il dono di sé che c'è nella grande pittura, potesse trovare la forza di sgretolare la rigida liturgia cinematografica che omologa tutto l'esistente in una piatta norma visiva. Usavo gli effetti ottici speciali, queste tecniche che erano già state care al cinema dei surrealisti, nel tentativo di costruire una nuova grammatica visiva capace di descrivere "la nuova geografia di percezioni e immaginari sconfinati, l'emergere dei ricordi del lontanissimo passato filogenetico dei nostri progenitori animali, i viaggi nei paesaggi interiori che ci aveva regalato l'immaginario psichedelico". Nel descrivere l'azione teatrale degli attori nel lavoro di Braibanti, le lenti, i prismi a diffrazione cromatica, gli specchi deformanti, aggiunti agli obiettivi della macchina da presa, erano usati come vie di percezione nuove eppure antichissime, quasi che il cameraman tornasse a guardare il mondo come pesce, anfibio, rettile, infine mammifero. E ripercorresse la storia della nostra specie e dell'occhio che dall'oceano si affacciò sulla terra evolvendosi nel succedersi delle ere planetarie e, ferenczianamente, facendo riaffiorare l'inconscio biologico della visione. Per fare piccoli esempi si potrebbe dire che il fish-eye o la sfera di cristallo ottico sono metaforicamente identificati all'occhio del bambino che nuota nelle acque amniotiche del ventre materno, così come la dispnea regressiva di Gioacchino si sovrappone angosciosamente alla trasformazione delle branchie in polmoni, ripetendo il dramma degli animali marini che si dovettero abituare a vivere in un mondo aereo per sopravvivere al prosciugarsi delle pozze marine. Qualche fisiologo dà una spiegazione affascinante della storia evolutiva dell'occhio: sostiene che la rètina, il fondo dell'occhio sul quale cade il bombardamento di fotoni che inizia "l'impeto visivo", sia l'estroflessione di quella parte di corteccia cerebrale che all'origine aveva la funzione dell'odorato, divenendo capace di riconoscere l'ombra dalla luce. Ma questa rètina primordiale aveva bisogno di essere pulita ripetutamente e si è così formata una secrezione umida che nel tempo si è consolidata come una vera e propria membrana di protezione… che ha cominciato via via a fare da lente e a mettere a fuoco le immagini, come tutte le bolle d'acqua. Sembrerebbe dunque che all'origine dell'occhio ci sia l'archetipo biologico di una lacrima…
Aldo Braibanti, che è un filosofo, dovrebbe essere ricordato, oltre che come autore di teatro, per il processo che la magistratura gli scatenò contro. Braibanti era già stato torturato giovanissimo dalle tristemente famose bande nazifasciste Koch e Carità durante la Resistenza e come se questo non fosse bastato, nel 1967 fu perseguitato, incarcerato, messo alla gogna come una strega durante un processo incredibile, per un reato la cui configurazione faceva indovinare dietro le quinte assai più evidentemente le trame dei suoi accusatori piuttosto che una qualsiasi possibile colpevolezza dell'imputato. Era, ormai è diventato un modo di dire, il reato di plagio. Grazie ad alcuni uomini e donne che lottarono contro la sentenza che condannò Braibanti a nove anni di carcere, questo castello di accuse medievali cadde, i nostalgici dell'olio di ricino, della patria e della famiglia, i crociati sessuofobi dell'elettroshock furono smascherati e il filosofo fu rimesso in libertà dopo due anni di prigione. In "Le prigioni di Stato" pubblicato durante la sua prigionia, si può leggere: Io sono l'uomo. Alla mia sinistra la formica è il mio specchio. Alla mia destra l'automa è il mio veicolo verso le stelle. Per espandere la vita e non per uccidere, per cercare nuovi compagni e non nemici da combattere… oltre il fanatismo, l' intolleranza, la sopraffazione. Nessun automa che cerchi di riprodurre il mostro superumano ci porterà su altri mondi, ma una nave il più possibile umana, unita a noi in una simbiosi che ci ricordi l'intima alleanza del cavaliere col suo cavallo. Ma ancora di più: dell'uomo con la terra del suo pianeta, con gli esseri che lo coabitano, in nome anche dei quali noi tendiamo oggi negli spazi la nostra mano di artefici…