di Marco Di Porto
Bruno Di Marino è uno dei maggiori esperti italiani di sperimentazione audiovisiva (ci tiene a definirsi uno "storico dell'immagine in movimento"). Professore a contratto in diverse università, oltre a studiare l'opera di Alberto Grifi, lo ha conosciuto e frequentato, conservandone un ricordo molto intenso. E formandosi un'opinione in "presa diretta" non solo sul suo cinema, ma anche sul "laboratorio" delle sue sperimentazioni. Abbiamo posto a Di Marino alcune domande.
Che posto spetta ad Alberto Grifi nel panorama internazionale del cinema underground?
Un posto di tutto rispetto. "La verifica incerta" è il film d'artista italiano più visto e ricordato all'estero. "Anna" è una pietra miliare del passaggio dal cinema al videotape. Ma l'importanza del cinema sperimentale italiano non è stata ancora pienamente riconosciuta all'estero, e molte cose vanno ancora valutate e rivalutate. Grifi incluso.
A proposito della "Verifica incerta": molti pensano che abbia anticipato e ispirato Blob, la fortunata trasmissione di Enrico Ghezzi. Che sia una specie di Blob ante-litteram. E' vero?
Sì e no. Il modello di riferimento di base di questo genere di "assemblaggio" è "Rose Hobart" del 1939, film di Joseph Cornell, artista surrealista che è stato il primo a rimontare un B-movie ("East of Borneo"), e dunque a realizzare un'operazione di "found footage" (letteralmente assemblaggio di girato "grezzo", anche se in realtà vengono rimontati tutti i tipi di materiali, ndr). Baruchello conosceva naturalmente il film, perché amante di Cornell (tanto è vero che è autore di alcune "box" debitrici delle scatole piene di oggetti realizzate da Cornell decenni prima).
Poi è chiaro che la Verifica resta comunque un'operazione unica e originale. Non credo però che rispecchi molto Grifi, bensì più Baruchello, che ne è il vero artefice e ideatore. Comunque senza Grifi la Verifica non si sarebbe potuto realizzare, non in questo modo.
Quando si parla di precursori di Blob, bisognerebbe citare un altro film dell'underground romano, che in pochi conoscono, Scusate il disturbo di Giorgio Turi del 1968, assemblage di varie immagini riprese dal monitor televisivo, con un graduale disturbo dell'immagine che - alla fine - disintegra la visione.
Quali sono le maggiori differenze tra Grifi e i cineasti sperimentali italiani, e quelli statunitensi?
Le differenze che esistono tra avanguardia Usa e italiana valgono per tutti gli autori nostrani, rispetto a quelli americani. Negli anni '60 e '70 la tecnica, negli Usa e in altri paesi, diventa molto spesso rigore assoluto, ma anche freddezza: lo strutturalismo, l'"expanded", eccetera. Mentre in Italia, gli autori underground mantengono un loro calore, una loro poesia, dosando tecnica con emozione, inconscio con azione (nel senso anche politico). Poi è chiaro che l'uso del fish eye, che in Grifi è molto frequente, oppure le accelerazioni, gli effetti di animazione, i giochi deformanti di specchi, i prismi, sono escamotage adottati da tanti altri filmmaker a tutte le latitudini. E' pur vero, però, che lo stesso approccio con la macchina da presa 35mm, fa di Alberto un cineasta che non rinnega la "professionalità" del mezzo, e con essa tutti gli standard connessi a una tradizione anche industriale del cinema, del cinema come artigianato - applicata però alla materia fluida e inclassificabile dell'underground.
Grifi era appunto anche un artigiano del cinema: aveva una confidenza particolare, "fisica", con macchinari e supporti della produzione filmica, confidenza dovuta anche al fatto che il cinema era un po' il "mestiere di famiglia". E che ebbe un ruolo non marginale nell'innovazione di cui divenne fautore.
Il problema non è solo l'innovazione. Vidigrafi ce n'erano anche in Rai, in quel periodo. Però erano macchine inaccessibili. Erano apparecchiature costose e "di Stato", oltre che "di status". Grifi dimostra che è possibile costruirsele da soli, ottenendo gli stessi risultati. In questo gesto c'è dunque non solo la sapienza e l'orgoglio dell'artigiano, ma anche la necessità di essere autarchici e di rivendicare l'accesso democratico agli strumenti di comunicazione. Esattamente come l'uso del videotape, del portapack. Insomma è un gesto politico anche la costruzione di un videografo fatto in casa. Quello che personalmente mi interessa di più è la coerenza di un percorso che segue le evoluzioni della tecnica: Grifi non ha paura di passare dal cinema al video. Certo, non è un caso isolato, anche Videobase (collettivo fondato dai tre cineasti Anna Lajolo, Guido Lombardi e Alfredo Leonardi, ndr) fa lo stesso passo. Grifi però va oltre, scopre il cinema-verità, la pseudonarrazione.
Ha in mente altri cineasti con una tale padronanza del mezzo tecnico, capaci di vere e proprie invenzioni? O Grifi è un caso unico?
No, non è unico. Dobbiamo pensare a Piero Bargellini, che come sperimentatore di tecniche (soprattutto di sviluppo e stampa) è stato un grande, ma soprattutto a Paolo Gioli. Gioli ha creato macchine fotografiche e cinematografiche con otturatori esterni, ha creato cinecamere stenopeiche, ha saputo intrecciare dispositivi fotografici con dispositivi cinematografici, realizzando film che - a mio parere - restano in questo senso insuperati. Una menzione va anche a De Bernardi che è l'unico in quegli anni che ha un'impostazione expanded, con i suoi film a 3-4 schermi e anche oltre.
Anima documentaristica "versus" anima sperimentale: è d'accordo con questa suddivisione del lavoro di Alberto Grifi?
Sì e no. Anche gli stessi documentari industriali che lui un po' ripudiava e non voleva mostrare, hanno qualcosa di molto innovativo dal punto di vista del linguaggio. Dunque è un po' difficile fare separazioni, secondo me. Se pensiamo a "Transfert" o a "Le avventure di Giordano Falzoni", non si tratta in fondo di riflessioni sul teatro o sull'arte? O perfino, nel caso di "Transfert", di una documentazione creativa, di una rilettura personale dello spettacolo teatrale di Braibanti, assolvendo dunque a una funzione a suo modo documentaristica, ma che è al tempo stesso un film sperimentale? Certo, se pensiamo a "Parco Lambro" e a tutti quei lavori in videotape, che hanno principalmente la funzione di fare controinformazione e sono oggi un formidabile e unico materiale di archivio, siamo più sul versante del documentario. Ma se vediamo "Anna", anche in quel caso - data la natura di sperimentazione del dispositivo - ci troviamo nuovamente in difficoltà a disgiungere i due "generi", seppure possiamo parlare di generi. In definitiva credo sia molto difficile scindere sperimentazione da attitudine documentaria nell'opera di Grifi.
Che ricordi personali, umani ha di Alberto Grifi?
Io molto spesso mi spazientivo a sentirlo ragionare sempre e solo in termini politici. Ma devo dire che Alberto ha avuto fino all'ultimo la dote di essere disponibile con tutti, di essere sempre gentile, premuroso, affettuoso. Non ha mai chiesto nulla. Aveva un orgoglio, una discrezione, che colpivano. Ricordo che una volta - e fui uno stupido a non capirlo - dopo averlo invitato a un dibattito al Museo Laboratorio di Arte Contemporanea alla Sapienza, dove avevo fondato la videoteca, lui non venne a pranzo con tutti noi perché non aveva i soldi. Naturalmente avrei pagato io per lui, ma non voleva farlo capire e si inventò una scusa. Se ci ripenso mi sento male.
Un altro ricordo: nel 1999, quando lavoravo al libro "Sguardo inconscio azione", andai a trovarlo alcune volte nella casa di viale Carso. Ci sedevamo sul letto e discutevamo. Un capitolo del libro è dedicato a lui e fu interamente ricorretto da Alberto, proprio perché volevo evitare di scrivere errori e inesattezze (in realtà cambiò e corresse pochissime cose). L'Alberto uomo, parlatore, oratore, raccontatore instancabile, l'Alberto personaggio insostituibile, pieno di cultura e di umanità. E' l'Alberto persona - al di là del cineasta Grifi - che rimane davvero insostituibile, l'Alberto appassionato, che rimetteva continuamente mano alla sua opera, la riapriva all'infinito, la rimetteva cioè in discussione, quello che mi/ci mancherà di più. Questo Alberto, purtroppo, neanche i suoi film potranno mai restituircelo.
Come Associazione, stiamo affrontando un' operazione di recupero e valorizzazione del materiale di Alberto Grifi. Secondo lei, verso che direzione ci si deve muovere per non far cadere nel dimenticatoio la sua multiforme produzione?
Indubbiamente l'edizione in dvd delle sue opere, almeno quelle principali, è un passo che va nella giusta direzione. L'edizione dei dvd andrebbe accompagnata da schede dettagliate, da informazioni di carattere storico-tecnico e poi, infine, da analisi critiche. Inoltre sarebbe importante costituire un pacchetto con i lavori più significativi di Grifi (compresi i documentari industriali, che vanno riscoperti) e farli girare, non solo in Italia, ma anche all'estero: da soli, o inseriti in rassegne più generali sul cinema sperimentale italiano.