Intervista a Gianmarco Torri
Le attività di Gianmarco Torri sono numerose, ma gravitano intorno a un solo, costante "oggetto": il cinema "altro" dalla produzione mainstream. Tra non-fiction, film-saggi, documentari sperimentali, diaristici e autobiografici, found footage, gli oggetti di studio e lavoro di Torri sono le produzioni indipendenti, siano esse low-budget, oppure esplicitamente no-budget. E' dunque impegnato su più fronti: ha collaborato con il festival toniCorti di Padova (www.tonicorti.org ), fa parte di Home Movies/Archivio Nazionale del Film di Famiglia (www.homemovies.it ), per il quale si occupa soprattutto dello sviluppo dei progetti di raccolta, e della promozione delle attività e delle "Giornate del Cinema Privato" (www.cinemaprivato.it ). Dopo l'esperienza come docente e curatore della mediateca di Dropout/Scuola del documentario, collabora con il CTU dell'Università di Milano (www.ctu.unimi.it), per la quale è curatore dell'archivio audiovisivo. Torri è insomma immerso nei "luoghi" e nei circuiti del cinema alternativo: ha dunque, quasi "ovviamente", incrociato, conosciuto e collaborato con Alberto Grifi. Gli abbiamo posto alcune domande.
Come sei venuto in contatto con il cinema di Alberto Grifi?
Ho conosciuto Grifi prima del suo cinema, al Festival di Pesaro, durante la direzione di Adriano Aprà. Nel 1994 Aprà aveva organizzato, a margine della sezione "100 anni di cinema italiano", un incontro per fare il punto sulla produzione e distribuzione del cinema indipendente italiano, e per trovare una via d'uscita comune al blocco distributivo che ha sempre reso questo cinema praticamente invisibile. Fu un'occasione per me di conoscere un altro cinema italiano, nomi e registi che operavano da più di trent'anni nell'ombra o quasi. Io cominciavo allora ad avvicinarmi seriamente al cinema e ricordo che, tra i tanti, mi colpirono due interventi in particolare: Alberto Grifi e Silvano Agosti. Entrambi rivendicavano, da punti di vista diversi, una totale indipendenza produttiva e per certi aspetti anche distributiva, un'opposizione radicale al mondo del cinema e al cinema così come era (ed è) concepito, sottolineando la necessità che il cinema fosse sempre e solo uno strumento (espressivo o politico, espressivo e politico) al servizio della liberazione della vita quotidiana e dell'approdo ad una vita più intensa e soddisfacente.
Il suo cinema l'ho conosciuto poco dopo in un paio di occasioni a Milano, in ambienti vicini ai centri sociali (anzi, la prima splendida retrospettiva a cui ho assistito fu proprio all'interno di un festival di video indipendente organizzato dal Leoncavallo). Recuperai in quelle occasioni anche delle preziose fotocopie del libretto che Roberto Silvestri aveva curato per una retrospettiva che si era tenuta a Bellaria nel 1994, strumento utilissimo per orientarsi e conoscere meglio il cinema e la teoria di Alberto.
In entrambe le occasioni c'era Alberto, e lì vidi e rividi praticamente tutte le sue opere. Mi colpì tantissimo "Il grande freddo", e poi "Anna", e la parte politica del suo lavoro più di quella sperimentale, anche se non credo sia giusto fare distinzioni rigide. Ed ebbi una vera folgorazione per il girato di Parco Lambro, che Alberto cominciava a mostrare di nuovo in quel periodo. Era davvero il cinema e la teoria che mi mancavano, e che in qualche modo cercavo.
Quali iniziative hai organizzato insieme a, o che riguardavano, Alberto?
Ho seguito Grifi a distanza per tanti anni, ma l'ho anche perso di vista dal punto di vista personale: dopo il 1994 l'ho incrociato ogni tanto, ma ho avuto un incontro personale con lui solo nel gennaio 2005, quando abbiamo deciso di chiamarlo per un seminario alla scuola del documentario di Dropout. Nel tempo avevo rivisto in varie occasioni le sue opere, anche grazie ai preziosi passaggi a Fuori Orario. Però mi è sempre rimasto in mente Parco Lambro e il progetto, che Alberto aveva avviato già a metà degli anni '90, di un macchinario lavanastri che gli consentisse di restaurare e ripristinare integralmente le registrazioni che aveva fatto tra il '76 e il '77. Non ho mai smesso di pensarci: avendo saputo della presentazione del macchinario a Venezia nel 2004, gliene avevo parlato anche l'ultima volta che l'ho visto a Milano, chiedendogli aggiornamenti sul progetto di restauro, e se fosse stato possibile avere quella documentazione per la mediateca della Scuola del Documentario.
Poi, appena arrivato al CTU, mi ero di nuovo informato con Interact sulla possibilità di finanziare il restauro, acquistando una copia di quel girato per la mediateca, da mettere a disposizione della didattica e della ricerca. Poi ci fu la notizia che il festival di Bellaria sarebbe stato dedicato al documentario; Bellaria ha sempre avuto una sezione chiamata "Festa di compleanno", che celebrava opere di 20 o 30 anni prima, e a me sembrava eccezionale l'idea di omaggiare, nel momento dell'avvio di un festival dedicato al documentario indipendente italiano, una non-opera, sterminata e incompleta, mostrando semplicemente tutto il girato disponibile. Era un po' l'idea di celebrare la vita rappresentata in quella documentazione, piuttosto che il cinema che la immortalava, di contrapporre a una nuova retorica del racconto documentario la documentazione politica nuda e cruda di Alberto, distruggendo la necessità dell'opera con un flusso di 30 ore di immagini... Ma l'idea non ebbe seguito, e Bellaria omaggiò i trent'anni di "Io sono un autarchico" di Nanni Moretti.
Eppure io continuai a pensare a quell'occasione, e venendo a conoscenza quasi subito dello stato di salute di Alberto (l'appello pubblico per la legge Bacchelli era uscito in quelle settimane di inizio 2006), ho pensato che non solo era dovere di tutti quelli che avevano amato il suo cinema e la sua profonda e irriducibile umanità aiutarlo, ma che era anche possibile contribuire a trovare finanziamenti per recuperare quei nastri e realizzare il progetto che Alberto ha perseguito instancabilmente negli ultimi 15 anni della sua vita.
Da lì, ho cominciato a cercare un modo per realizzare un omaggio a Parco Lambro, mostrando non solo i 58 minuti montati, ma tutto il girato disponibile. E ci riuscii: dopo numerose traversie, mostrammo le 4 ore di girato disponibili di Parco Lambro a Pesaro (insieme ad una mostra di sue foto e a postazioni dove era possibile vedere tutti i suoi film in DVD), ogni sera integralmente, presso il Centro Arti Visive Pescheria, su un grande schermo che faceva uscire e rimbalzare quelle parole, quei volti, quelle rivendicazioni e quelle problematiche attraverso i vetri aperti e trasparenti dello spazio espositivo...
Sono davvero convinto della potenza straordinaria di quei filmati e della necessità storica e politica di salvarli e renderli fruibili. Mi sembrava assolutamente necessario recuperare quel materiale e quella testimonianza, e tutte le persone che lo vedevano rimanevano incredule e colpite da quel pezzo di storia che gli si presentava così duramente di fronte... ma non un'istituzione, un festival, una cineteca, un archivio storico, un'Università, una televisione si è mossa concretamente, in quel momento, per finanziare almeno in parte il recupero, o l'avvio di un progetto di restauro.
Sono rimasto in contatto con Alberto fino alla fine e ho continuato a promuovere quel progetto. Per me è l'unico modo di continuare a lavorare nella direzione in cui avrebbe voluto.
Come associazione stiamo affrontando una operazione di recupero, valorizzazione e catalogazione del materiale di Alberto. Secondo te verso che direzione ci si deve muovere per non far cadere nel dimenticatoio la sua opera?
La pubblicazione di tutti i suoi film in DVD è essenziale per contribuire a promuovere la conoscenza del suo lavoro e della sua teoria. Come anche la raccolta dei suoi scritti, dei suoi interventi, delle sue presentazioni. Aggiungo che quando penso a una collana di DVD, la penso come una produzione/distribuzione autonoma dell'associazione. Alberto ha sempre portato in giro personalmente i suoi film, e dobbiamo riconoscere che ne ha anche quasi sempre lasciate e regalate copie in giro. Per quanto possa sembrare folle commercialmente, faceva parte del suo carattere, del suo approccio e del modo in cui concepiva la sua attività cinematografica.
A me piacerebbe che si mantenesse questa indipendenza, sia gestendo in proprio i diritti (trovo abbastanza inaccettabile, anche se commercialmente e legalmente fondato, che qualcuno possa accampare diritti di distribuzione sulle sue opere), sia gestendo direttamente le vendite. E questo anche in relazione ad un progetto di diffusione del suo lavoro di cui avevamo discusso e che stavamo provando ad avviare negli ultimi mesi di vita di Alberto.
Mi hai parlato del progetto di un modo alternativo, " pubblico", di distribuzione e fruizione cinematografica. Di che si tratta?
Io credo che per un'opera come quella di Alberto, e per le modalità in cui lui l'ha sempre promossa, vada cercato un modo di pubblicazione e diffusione dei DVD che conservi la libertà, la generosità, la gratuità, la capillarità (sotterranea ma indubitabile) del modo in cui Alberto ha sempre portato in giro il suo cinema.
Questo non significa regalare i suoi film, ma mettere in atto una strategia perché il suo cinema diventi economico da diffondere, gratuito da vedere e da studiare. L'idea a cui stavamo lavorando, strettamente legata al progetto di pubblicazione dei DVD, viene per certi versi da una modalità distributiva mediata dal mercato internazionale, praticamente inesistente in Italia, e cioè la formula delle licenze "istituzionali".
L'idea è quella di vendere direttamente dal sito i DVD, evitando una diffusione semplicemente "commerciale" nelle librerie e nei negozi, e di prevedere, accanto ad una modalità di acquisto per privati, anche una modalità (che può comportare la vendita di DVD singoli e/o l'intero pacchetto di opere di Alberto) per biblioteche, università, scuole (comprese le scuole di cinema), centri culturali, archivi e luoghi espositivi.
Ovviamente, per un mercato immobile come quello italiano il prezzo di questo tipo di licenza deve essere abbordabile e conveniente, non superiore ai 100 euro a DVD, ma un motivo in più per decidere di acquistare materiale con licenza invece di materiale ad uso privato (come fanno di solito le biblioteche acquistando da distributori che operano sul mercato Home Video), o addirittura di continuare a tenere semplicemente le copie di copie lasciate in giro da Alberto o registrate dalla televisione, sarebbe quello di poter legalmente proiettare in pubblico, all'interno degli spazi di pertinenza della struttura, e con ingresso gratuito (o con tessera annuale), le opere acquistate. E questo sia per le opere "finite" che per le 100 e passa ore di documentazione che si spera prima o poi di riuscire a recuperare, e che tra l'altro si prestano quasi esclusivamente ad una fruizione individuale su monitor in ambienti di ricerca e riflessione storica, sociale, politica.
Questo è un ragionamento generale da fare su biblioteche e Università (negli Stati Uniti le Università offrono le principali e spesso uniche occasioni di vedere film indipendenti e sperimentali), ma l'opera di Alberto si presta in modo particolare a sperimentare una gestione dei diritti innovativa.
Questa modalità sottrarrebbe in parte Grifi al mercato puro e semplice, al commercio; perché le sue opere sarebbero acquistate prevalentemente da strutture collettive e sarebbero sempre accessibili anche da chi non voglia o non possa acquistare i DVD per uso personale. E se funzionasse produrrebbe auspicabilmente anche una piccola esplosione di microeventi dedicati al cinema di Alberto e disseminati su tutto il territorio nazionale.
Una volta messa a punto questa licenza, la stessa potrebbe essere facilmente applicata al mercato internazionale, dove questo genere di acquisti sono fatti regolarmente (da Università, biblioteche e istituzioni museali).
Chi è in grado, secondo te (e se c'è), di raccogliere l'eredità di Grifi? Nei festival che curi, si vedono giovani cineasti promettenti?
Secondo me l'eredità di Alberto è prima di tutto umana e politica. Credo che si debba ricordare la sua ostinazione a restare fuori dal mercato del cinema, la sua incredibile disponibilità, la sua radicalità e la sua capacità di dialogare, il suo percorso non casuale ma ragionato e consapevolissimo, motivato da eventi sia personali che collettivi, dal cinema sperimentale ad un cinema di documentazione e di intervento politico. La sua opera ha circolato per tanti anni molto di più nei centri sociali che nei festival e nelle scuole di cinema, e non è un caso.
Per questo sono convinto che moltissime delle azioni di documentazione militante in Italia siano influenzate da Grifi. Il suo nome risuona spesso ovunque ci sia qualcuno che muove i primi passi per riprendersi gli strumenti della comunicazione interpersonale e politica. I piccoli festival indipendenti, le telestreet, i giovani documentaristi che si autoproducono, sono tutti in qualche modo eredi di Grifi. Mi è capitato spesso nelle opere che arrivavano a toniCorti, di trovare una dedica, un riferimento, una citazione o addirittura una collaborazione con Grifi.
Dal punto di vista propriamente autoriale poi, credo che il suo insegnamento sia soprattutto teorico. Non c'è uno stile Grifi, c'è una teoria Grifi. Questo non vuol dire sminuire il suo cinema, ma rendergli davvero giustizia.
E, senza bisogno di fare nomi, ne ho in mente molti di autori che portano dentro di sè l'impronta di un incontro (reale o cinematografico) con l'opera e la teoria di Grifi, molti che frequento e considero tra i più interessanti in Italia.
L'eredità di Grifi è dunque non solo cinematografica e teorica.
Alberto è stato un cineasta in grado di non cristallizzare mai la sua opera, il suo stile. La sua curiosità e la sua teoria politica lo hanno portato a interrogarsi continuamente e a cambiare pelle e strategia diverse volte. E' passato dal cinema sperimentale, ad un cinema di documentazione apparentemente privo di ricerca stilistica, ad un lavoro di rivisitazione, assemblaggio, scavo continuo nel suo archivio e nella sua memoria personale con l'obiettivo principale di trasmettere ad altri (giovani, meno giovani) la capacità di usare il cinema come arma per svelare le contraddizioni del reale e per esprimere nuovi desideri, nuove vite.
Oggi, molti (me compreso) vedono crescere con favore un movimento che rompe la rigidità della produzione audiovisiva, soprattutto sul versante di una rinnovata vitalità del cinema documentario.
A me sembra però che in questa produzione stia già apparendo (anzi spesso sia presente dall'inizio) una sudditanza al mercato che produce sterilizzazione, di temi e di stili. A prescindere dalla indubbia validità di molti documentari prodotti in Italia, credo che recuperare la libertà con cui Alberto ha usato il video negli anni '70, il suo disprezzo per un ragionamento puramente "autoriale", la sua capacità di dimenticarsi o meglio di opporsi ad ogni regola di mercato per lasciarsi andare semplicemente alla scoperta (della vita e del cinema), il coraggio e la spavalderia di produrre "documentazione audiovisiva" e non "documentari", senza timore alcuno di essere accusato (con una delle accuse che trovo oggi tra le più reazionarie nel mondo della produzione di documentari) di una sorta di "automatismo della telecamera", il coraggio di filmare 30 ore di materiale e non montarle mai come anche di fare un film di 4 ore come "Anna", la scelta di rimanere fedele al reale e ad una qualche verità della vita piuttosto che al suo stile e alle regole del cinema, sia un esempio assoluto che dovrebbe essere trasmesso e recepito a/da chiunque voglia dedicarsi alla produzione audiovisiva, oggi e sempre.
"Parco Lambro", qualcuno direbbe forse più "Verifica incerta" o "Anna", ma io dico "Parco Lambro" così com'è, in tutta la sua fluviale logorrea (visiva e verbale e politica) è veramente e finalmente per me la distruzione e la rinascita continua di un cinema che si confronti con la realtà, un esempio assoluto e definitivo di cinema contro il cinema.
"La teoria critica deve comunicarsi nel suo proprio linguaggio. E' il linguaggio della contraddizione, che deve essere dialettico nella forma come lo è nel contenuto. Esso è critica della totalità e critica storica. Non è un "grado zero della scrittura", ma il suo rovesciamento. Non è una negazione dello stile, ma lo stile della negazione."
Guy Debord, La società dello spettacolo, 204