Gli inizi di Home Movies, gli incontri e gli insegnamenti del "padre" dell'underground italiano
di Mirco Santi
Dopo aver sentito parlare spessissimo di Alberto Grifi e dopo aver assistito a Parigi (ed esserne rimasto estasiato) alla proiezione de La verifica incerta (copia in pellicola 16mm), nel 1999-2000, di ritorno a Bologna da un periodo di scambio Erasmus in Francia, finalmente ebbi modo di incontrarlo e conoscerlo. Fu all'interno di un laboratorio di riprese e montaggio organizzato al DAMS da Monica Dall'Asta.
Il laboratorio pratico fu per me una vera scoperta, al DAMS si parlava finalmente di cose concrete: e a mostrare, fare, coinvolgerci, c'era una persona a dir poco straordinaria.
Alberto tornò anche un anno dopo, invitato al DAMS per continuare il seminario sul montaggio iniziato l'anno precedente. Era tornato a portare la sua testimonianza di uomo, innanzitutto; di uomo di cinema, di fine teorico, ma anche di tecnico e artigiano. La sua disponibilità e generosità diedero modo, al gruppo di studenti, di diventargli amico.
Sempre in quell'anno, assieme a un piccolo gruppo di entusiasti appassionati di cinema in formato super8, ci si ritrovava nella cantina della mia casa di allora per proiettare materiali da me girati, ma anche, soprattutto, a visionare ore di materiali inediti acquistati come "cianfrusaglie" per pochi franchi ai mercatini delle pulci francesi.
Stava nascendo un progetto, inizialmente forse in maniera non del tutto consapevole, che paradossalmente però poneva al centro di tutto la memoria filmica amatoriale, quella non considerata dalle storie del cinema, quella personale e in formato ridotto.
Ci si era resi conto che, se in Europa, già da molti anni, varie esperienze archivistiche conservavano e valorizzavano i film di famiglia, nessuno in Italia si era ancora posto il problema. Volevamo dunque idealmente iniziare a colmare una mancanza, ma non avevamo nè risorse nè appoggi istituzionali. Tutto si limitava inizialmente a "trasportare" i film in 8mm e super8 in un formato digitale, proiettando su un muro e riprendendo con la videocamera; selezionandone dei momenti particolarmente interessanti, quindi cercando di valorizzarli mostrandoli a festival o in manifestazioni pubbliche magari accompagnati da musiche originali elettroniche suonate dal vivo da amici musicisti.
Il risultato era spesso un coinvolgimento della gente che in cambio di un vhs (più tardi, di un dvd) che li contenesse era talvolta disponibile a lasciare i suoi film all'Associazione Home Movies (http://www.homemovies.it) che nel frattempo avevamo creato.
I problemi erano davvero legati alla mancanza di risorse, anche quelle di base, per poter acquistare una videocamera 3ccd, stazioni di montaggio digitale, nastri… Spesso si ricorreva al prestito di videocamere degli amici. Disponevamo però di proiettori, di giuntatrici e moviole e soprattutto delle conoscenze necessarie a rianimare quei formati obsoleti di cui la gente aveva quasi dimenticato l'esistenza.
Passammo svariati mesi, forse qualche anno, nel cercare di risolvere problemi tecnici legati alla migrazione dell'immagine dalla pellicola al video. E Alberto pur non essendosi mai direttamente occupato di formati substandard, ci fu vicino in questa fase di scoperta.
Ricordo con piacere il giorno in cui, dopo una lunga chiacchierata al telefono, via posta arrivò a casa un plico contenente della documentazione, erano le fotocopie di un manuale di cinematografia americano dove si spiegavano diverse tecniche per retro-proiezione finalizzata agli effetti speciali nel cinema professionale, ma vi erano anche degli schizzi di schemi per un approccio modificato, adattato alle caratteristiche di quei piccoli e poco luminosi proiettori di cui si disponeva. Ricordo che tra quelle carte ci segnalava il nome di un materiale iper-riiflettente per ottenere più luminosità e maggiore omogeneità nell'immagine.
Nel frattempo, cercando informazioni su internet e in seguito al fortuito ritrovamento di un prisma ottico, cominciammo a percorrere una strada nuova, abbandonando la proiezione (che in fondo poneva numerosi inconvenienti).
Anche lì Alberto, seppure a distanza, talvolta incontrandolo a Roma o a Bologna, magari al telefono, ebbe modo di consigliarci, di avanzare dei dubbi, di suggerire delle strade da percorrere.
La sua esperienza col vidigrafo ci insegnava che le sfide vanno affrontate con le risorse di cui si può disporre, con determinazione, provando e insistendo. Oggi internet permette, inoltre, di recuperare molte informazioni, immagini ed esperienze, soprattutto grazie ai forum.
Da allora sono passati alcuni anni, il sistema che usiamo attualmente, pur nella sua grande e orgogliosa artigianalità si è via via affinato, inglobando mano a mano consigli, accortezze e modifiche provenienti da fonti diverse.
Dalla cantina e dalle nostre case private siamo finalmente usciti nel 2005 per entrare in una prestigiosa sede con un laboratorio condiviso con la sezione audiovisivi di un Istituto storico, dove disponiamo del necessario per lavorare adeguatamente tutti i piccoli e più diffusi formati cinematografici, dal Pathè Baby 9,5mm al 16mm, passando per l'8mm e il più recente super8.
Continua il nostro impegno volontario in attesa di adeguati finanziamenti. Soprattutto, da quella data, disponiamo di ambienti climatizzati a temperatura e umidità costanti, atti alla conservazione degli audiovisivi. Perché, come ha ben mostrato l'esperienza, i materiali fotosensibili e quelli magnetici mal tollerano luce, sbalzi di temperatura e di umidità relativa. Proprio di questo Alberto si è dovuto occupare negli ultimi anni della sua vita, mostrandosi ancora una volta avanti a tutti nel problematizzare un'emergenza archivistica purtroppo ancora oggi ampiamente inascoltata.
Resta a noi tutti il dovere morale di continuare lungo la sua strada.
La sua lungimiranza ci insegna che non basta riuscire a recuperare meccanicamente e fisicamente l'elemento originale per poter riprodurre in digitale un medium obsoleto, si devono creare le condizioni per conservare al meglio l'elemento originale recuperato, va prevista una catena di backup di dati su nastro ma anche come file su disco rigido e di questo Alberto ci parlava quando ancora per noi un simile "protocollo" aveva un sapore quasi "fantascientifico".
Oltre al sentimento di grande affetto verso la persona (chi ha avuto modo di conoscerlo sa di cosa parlo), vorrei dire qui del grande rispetto nei confronti di Alberto Grifi, dell'uomo dalle mille risorse che sapeva entusiasmare parlando delle sue esperienze di vita, dell'artigiano nel senso più nobile del termine, del tecnico che non usava il tecnicismo per creare una distanza, ma che al contrario, col suo esempio e la grande disponibilità, è stato per molti di noi più di un ispiratore, più di un semplice riferimento. Idealmente, probabilmente senza esserne degni, per noi Alberto è stato un padre.